UNSER HOMPAGE :
http://circolo-sardo-rinascita-oberhausen.de
Il circolo “Rinascita” di Oberhausen ha festeggiato i35 anni di attività organizzando una “Settimana sarda” diincontri e mostre che hanno riscosso un grande successo. Alpresidente. FrancoSogus è toccato il compito di accogliere gliospiti e rivolgere il saluto di benvenuto, prima di ripercorrerele tappe di questo Circolo “storico” situato nel bacino dellaRhur. Un solo neo, peccato che alla manifestazione chesi è svolta nella cittadina mineraria gemellata conCarbonia–Iglesias non fosse presente un solo rappresentantedella Regione (nè politici,nè funzionari). Mentre eranopresenti le autorità locali, e i rappresentanti di tutti ipartiti politici tedeschi. Presenti anche i vertici dellaFederazione dei circoli sardi in Germania, con il presidenteGianni Manca, a vice presidente Giovanna Cossu e il segretarioAntonio Galistu. Presente anche la presidentessa del COEMITRosella Benati. La storia del circolo. Il Circolo diOberhausen è stato ufficialmente riconosciuto dalla Regionenel 1981, ma in realtà la comunità degli emigrati sardiin quel bacino minerario aveva cominciato a mettereradici già nel 1972, grazie ad una associazione di seifamiglie, i cui membri avevano partecipato alla Conferenzaregionale dell’Emigrazione di Alghero. Lascelta del nome “Rinascita” – ha ricordato il presidente –avvenne dopo un sondaggio tra i soci, nel corso di unaAssemblea alla presenza dell’allora Presidente di Lega deicircoli sardi in Germania, Francesco Pistis il 12 aprile del1981 nei locali messi a disposizione dalla città di Oberhausenin Mülheimerstrasse 200. Nel Giugno 1981 nella sededel circolo sardo di Monchengladbach fu l`assessore delLavoro, Lello Secchi, a dare il consenso al riconoscimentoe l’aiuto finanziario al “Circolo Culturale Rinascita”e quindi l’affiliazione alla Lega dei circoli sardi in Germania.Ma fu solo successivamente, esattamente nel febbraio del 1982, che il circolovenne registrato nel Tribunale e venne denominato formalmente“Centro culturale Ricreativo Sardo Rinascita di Oberhausen”.Da allora – ha sottolineato Sogus – il Circolo ha intrapreso una serie diiniziative legate al tempo libero, e alla cultura con ilproposito di diventare un punto di riferimento importante pertutti gli emigrati sardi della zona. In 35anni si è così trasformato, diventando una realtà diaggregazione senza eccezioni politiche, aperto a tutti, e dopouna serie di cambi, finalmente l‘anno scorso e statainaugurata la nuova e attuale sede del circolo in Heiderhöfen86 in Altstaden, un quartiere storico. La nuova sede,dove si sono concentrate le manifestazioni della “SettimanaSarda” è dotata di una mediateca, con postazioniinternet-informatica, una sala bar, un salone ricreativo conpassatempi e, nel piano interrato una spaziosa salaper gli spettacoli. “Venite a trovarci e a conoscere la nostra cultura”,ha detto Sogus rivolto soprattutto agli ospiti tedeschi. Nellasede del Circolo di Oberhausen è anche attivo un ufficio diconsulenza gratuita per dare assistenza costante a tutti gliItaliani in zona, sia per quanto riguarda pratiche per lapensione che per problemi sociali e di lavoro. Ilpresidente Sogus si è detto orgoglioso di quanto è stato fattocon questa “Settimana sarda”: “Noi vogliamo arrivare ad essereuna vera e propria impresa di scambi culturali economici esociali, ma per raggiungere questa difficile meta abbiamobisogno del sostegno di tutti voi cari amici e delleistituzioni e organizzazioni che rappresentate o nelle qualioperate. Il primo modo, e anche il più semplice, con cuipotete farlo è partecipare alla vita del circolo. Questonon potrà che rafforzare il nostro legame e lo spirito che ciaccomuna. La nostra associazione nonostante i tantissimi traguardi raggiuntiha bisogno di un ricambio generazionale, ha bisogno dirinnovare la propria vitalità e di mobilitare sul pianointerno le migliori competenze, professionalità ed energie permigliorare e sviluppare ulteriormente i servizi attualmenteresi, ma soprattutto per proporne di nuovi e innovare ilsistema del nostro circolo creando nuove e positive occasionidi scambio anche attraverso i mezzi offerti dalla rete e la comunicazione chela Regione Sardegna ci offre. E su questo vorrei ancorafare un appello ai politici regionali: voi in mano avetequeste risorse economiche, risorse culturali e sociali e voidovete sfruttarle dando continuazioni a tutti i Circoli sardidel mondo. Noi chiediamo solamente questo”. Il Programma della“Settimana sarda” è stato piuttosto intenso e si è apertodomenica con un pranzo ufficiale in Comune. Nelpomeriggio si è tenuta l’Assemblea dei Soci nella Sede delCircolo. Lunedì è stata inaugurata la mostra fotografica chericorda gli ultimi 30 anni della storia del Circolo. Lamostra, allestita nella sede del Centro Rinascita è rimastaaperta per tutta la settimana. Martedì nella sede delCircolo sono stati messi in mostra, e in vendita, i prodottidell’artigianato sardo e della culinaria. Mercoledì giornatadedicata ai giovani con un Torneo di biliardo e di calciobalilla. Giovedì degustazione di pane sardo che è stato fattodalle donne e successiva tavola rotonda su la sua lavorazione. Circolo Sardo Rinascita - Oberhausen
Un circolo con tanta storia da raccontare.
Nel 1979 un gruppo di emigrati Sardi diOberhausen iniziarono a riunirsi in casa o nei tradizionali Kneipe -Tedeschi(Lirich - Meiderich - Altsdaten),quasi tutti del gruppo allora appartenevano alpartito di E.Berlinguer(PCI).Allora c`era tanta nostalgia della nostra terra,trovarsi con i nostri corregionali a parlare era propio una bella emozione eper questo quasi tutti erano scritti al partito degli operai ,era l`unicoallora in Germania dove si poteva organizzare e riunirsi ed infatti si cerco`di fare il possibile per formare una piccola associazione che potesse trovarsie dare quel bisogno sociale-culturale e tempo libero a tutte le famiglie deiSardi di Oberhausen e dintorni ,un piccolo angolo di Sardegna .Purtroppo nonera cosi facile, il volontariato era tanto ma avevamo bisogno per forza di unpiccolo locale e un po di finanziamento per le prime spese, anche se moltisacrificavano il tempo libero e un po di spiccioli non basto` .Si giro` permesi e mesi a Oberhausen e dintorni per trovare i nostri paesani Sardi dispostia darci una mano di aiuto ,si raccolse un centinaio di firme che mandammo allaRegione Sarda per poterci riconoscere come Associazione Culturale Ricreativacon un nome politico abbastanza motivata di "Rinascita".Ma ledifficolta` burocratiche del fondo Sociale e tanti altri motivi politici ,dopotanto molti di noi dovettero rinunciare sperando che un giorno potessimo avereanche noi un Circolo Sardo.In aprile del 1981 finalmente con l`aiuto dellaFederazione dei Circoli Sardi in Germania all`ora presidente Pistis Franceso,della Filef,dei gruppi Folk,e tanti altre Associazioni in Germania e inSardegna venne riconosciuto il nostro tanto atteso e sperato Circolo Sardo"Rinascita"
Sarden in Oberhausen beimKarnevalsumzug
Aus der WAZ
http://www.derwesten.de/staedte/oberhausen/sarden-schmuecken-umzug-mit-masken-aimp-id7569502.html
Sarden schmückenUmzug mit Masken
Bunte Kostüme,faszinierende Masken und schwarze Pelzverkleidungen mit einer schaurig-schönenNote: Das sardische Kulturzentrum „Rinascita“ wird sich in diesem Jahr einenlang gehegten Wunsch erfüllen. Eine sardische Delegation zieht am kommendenSonntag mit den hiesigen Jecken beim großen Umzug mit durch die Innenstadt.
Vielfalt der Inselverdeutlichen
Der Zeitpunkt fürdiese Aktion ist nicht zufällig gewählt. Denn seit dem gestrigen Montag läuftin der Stadt die „Sardische Woche“, die bis Sonntag ein tägliches Programmvorsieht, das die Vielfalt der italienischen Insel auch in Oberhausenverdeutlichen soll.
Ein Segment dieses Programms ist das Erscheinen der Mamuthones. „Karnevalhat in Sardinien eine lange Tradition“, erklärt der 1. Vorsitzende desKulturvereins, Franco Sogus. „Wir feiern auch in Oberhausen schon seit langerZeit den Karneval, allerdings nur in unserem Verein. Nun wollen wir gemeinsammit den Oberhausenern feiern und uns beim Umzug zeigen.“
Der Karneval von Mamoiada ist auch über die Grenzen der Region hinausbekannt und das hat einen guten Grund: Die Tänze der Mamuthones sind markantund wie gemacht für die trubelige Zeit der Masken und Verkleidungen.
Hierbei handelt es sich um historische Figuren aus dem Hinterland vonNuoro. Die Tänze der Gestalten werden bereits seit 3500 Jahren überliefert. Siedienen einem klaren Zweck: So soll das teils schaurige Aussehen derKostümgiganten die bösen Geister vertreiben.
Böse Geister gnädig stimmen
Die auffälligen Bewegungen dienen dazu, die Geister gnädig zu stimmen, umdie Ernte nicht zu gefährden. Schließlich spielt diese in der bäuerlichgeprägten Landschaft des ursprünglichen Sardiniens eine große Rolle. Mamuthonessind keine Einzelgänger, es sind stets zwölf von ihnen. Die Gestaltung istdefiniert: Eine Jacke aus Hammelfell, die keine Ärmel besitzt. Das Fell wirdnach außen getragen, Hosen und Stiefelschäfte kommen noch hinzu. Das Gesichtist hinter einer schwarzbemalten Holzmaske verborgen.
Vor diesen Wesen brauchen Kinder beim sonntäglichen Karnevalsumzug in derInnenstadt (Beginn: 14 Uhr) nicht zu erschrecken. Auch wenn die Teilnehmer imheimatlichen Karneval oftmals Schabernack betreiben und mit ihren Lassos somanchen Zuschauer am Wegesrand freundschaftlich einfangen.
Der Karneval in Oberhausen wird jedenfalls international. Ein aufwändigesUnterfangen. „Alle Masken und Kostüme kommen extra aus Sardinien“, sagt FrancoSogus stolz. Es seien aufwändig gefertigte Originale, die sonst in einem Museumlagerten.
Die Gruppe steuert zudem mit einem eigenen Umzugswagen durch die Straßenund möchte so die närrische Vielfalt bereichern.----
Wer nach Oberhausen kommen kann, erlebt die sardischeWoche.
http://www.derwesten.de/staedte/oberhausen/sarden-schmuecken-umzug-mit-masken-aimp-id7569502.html
Invito Programma Manifestazione Culturale ( CARNEVALE SARDO)
Porte aperte - SettimanaSarda Dal 04 Febbraio all`11Febbraio 2013(tutti i giorni inizio ore 17:00 -)
Nei locali del Circolo Sardo Rinascita (Oberhausen Heiderhöfen86 )
1)Esposizione e degustazione deinostri tipici prodotti della Sardegna(finalmente dopo tante richieste e conl`aiuto della Regione Sardegna abbiamo potuto installare una vetrina-permanentecon esposizione prodotti Sardi)
2) Propaganda Turistica ( Filmati sui paesaggi e Panoramidelle coste e montagne della Sardegna)
3) Esposizione Maschere tradizionali di Mamoiadae Oristanese4) Venerdi 8 Febbraio Sagra della Pecora.
5) In Collaborazione con la Ditta Walter Cocco : Presentazione dei vini del sulcis e medio campidanodella Sardegna .
6) Cucinare ALL` Italiana-SARDA allargataai Tedeschi,
7) Presentazione dell` Olio olive con ilpane brustolito olio Tipico di Gonnosfanadiga riconosciuta come Citta`dell`olio Extravergine dell`Europa in collaborazione con diverse Ditte –8) Lavorazione del pane Casalinga- in diretta neilocali del circolo.
9) 10 Febbraio in occasione della sfilata intorno alla citta` (ca. 4km karnevalszug in oberhausen)
Il Circolo Sardo Rinascita conil patrocinio della Regione Sardegna partecipa con un suo Carro tradizionale presentando i nostri costumi e lemaschere tradizionali della Sardegna (Mamoiada i Mamutones-Oristano e Nuoro) .(Dopo la Sfilata siete tutti invitati per la Serata finale al circolo conMusica e varie sorprese)
Dal Comitato direttivo uninvito particolare
“Il tuo contributo e la tua partecipazione è perl’avvenire del circolo importantissimo”
GLI EMIGRATI SARDI DELLA RUHR,STORIE DAL VENTRE D'EUROPA (UNIONE SARDA)
Oberhausen,26 apr 2010 (L'Unione Sarda) - Da bambino entrava di corsa nelle gallerie dellaminiera di ferro di Ierzu. «Ci andavo con mia sorella a giocare», diceaprendo le braccia a mo' di aereo. «Non venire a lavorare qui, mi diceva miopadre. Era minatore». Ma Franceschino Carta, 83 anni, nel ventre della terra ciè andato, eccome. E non più di corsa sfidando il buio. Anni dopo, quando si èritrovato senza un lavoro per mantenere moglie, figlia e un bimbo in arrivo,l'unica alternativa alla miseria la Germania e le sue miniere. NEPPURE UNMARCO «Sono arrivato qui che non avevo nulla, neppure una valigia. Ora chele miniere sono chiuse non avrei mai pensato che la nostra storia di emigratipotesse essere raccontata a tutti». Fa un sospiro: «La Germania l'abbiamo fattagrande anche noi». Tziu Carta, come lo chiamano gli amici del circolo Rinascitadi Oberhausen, si commuove al ricordo di quei giorni durissimi, quando si reseconto di non avere neppure un marco in tasca per scrivere alla moglie. «Tutti spedivanolettere alle famiglie. Qualcuno mi chiese: e tu non lo fai? Nonpotevo. Un collega siciliano mi prestò un marco».
Era il 1956 e Oberhausen, città mineraria del bacino della Ruhr cercavaall'estero la manodopera per far ripartire un paese prostrato dalla guerra.Oggi è una delle 53 cittadine protagoniste della straordinaria rinascitadell'ex area industriale. I pozzi della società Concordia, la prima aperta incittà nel 1854, sono chiusi. Ma è la loro storia industriale e sociale, fattada minatori come Franceschino Carta o Luigi Deiana, 72 anni, di Orani, a essereprotagonista per un anno. Qui il passato è diventato domani.
PRIMI EMIGRATI Come tziu Carta anche tziu Deiana arriva in Germania nel1956. «Ero minatore a Ingurtosu - ricorda - e c'era già aria di chiusura. Cosìho fatto domanda per venire a lavorare qua». Una strada segnata ufficialmentenel dicembre del 1956 da un accordo tra i due Paesi. «È vero siamo andati viadalla Sardegna in un momento di crisi, ma la Germania ha avuto bisogno di noiper risollevarsi». L'anziano minatore parla con la consapevolezza di chi haapprezzato il «sollievo di andare a dormire tranquilli perché il giorno dopo illavoro ci sarebbe stato ancora e perché la paga era puntuale». «I tedeschi nonci hanno regalato nulla, noi abbiamo portato manodopera specializzata».
RUHR Nel dopoguerra industriale sono soprattutto le cittadine della Ruhr adaccogliere gli immigrati italiani. E a Oberhausen dove c'erano 160 pozziattivi, il primo gruppo di lavoratori stranieri è sardo. Tra loro anche Carta eDeiana. «Noi eravamo 45», ricorda Franceschino. «Noi 36», replica Luigi. Storiedi vita parallele che si congiungono in Germania, dove gli emigrati arrivano altermine di viaggi estenuanti con «in tasca un contratto per un anno e tantasperanza».
FIASCO DI VINO «Al nostro arrivo, di notte - ricorda Franceschino -trovammo sul tavolo un fiasco di Chianti, una stecca di sigarette a testa e unabarra di cioccolato». Era il benvenuto. «La società mineraria ci dava glialloggi: quattro in una stanza». «Dopo il primo giorno di lavoro venne ildirettore a chiederci se qualcuno di noi voleva mandare 100 marchi a casa. Ioalzai subito la mano». Erano soldi benedetti per quegli affetti rimasti inSardegna. «Dopo alcuni mesi di lavoro esterno sono sceso anch'io giù. Era il 27settembre del '56 e nasceva il mio primo figlio maschio».
17 MARCHI «La nostra paga - aggiunge Luigi - era di 17,29 marchi lordial giorno. Sapevamo che non saremmo diventati ricchi, ma era la nostrasicurezza». Che non bastava mai. Il bisogno di guadagnare qualche marco in piùda spedire a casa spinge Luigi Deiana a cercare lavoro in Belgio. «Dicevano chela paga era di 25 marchi, una bugia. Così sono arrivato a Oberhausen». Pozzo 4e 5 della Concordia e un chiodo fisso in testa: riunire la famiglia. Per farlo,ai minatori poteva persino accadere di dover partecipare a una lotteria. «Nonvolevo più vivere lontano da mia moglie», ricorda Franceschino. «Ma solo 12 dinoi potevano far venire i familiari, così estraemmo a sorte». Il suo nome erail terzo. «La società mi diede 300 marchi e partii per Carbonia».
SCUOLA Al ritorno a Oberhausen, la Concordia consegnò alla famigliaCarta, due figli, «quattro lettini, quattro stipetti di acciaio, quattroforchette, quattro bicchieri. Quattro di tutto e andammo a stare in unascuola». Furono anni di sacrifici terribili. «Febbraio ha 28 giorni, io portavoa casa una paga da 32». Le otto ore del turno diventavano dieci, dodici.
Luigi Deiana invece ha sempre lavorato a cottimo, a metri cubi di minierascavata. «Ma qui il cottimo partiva da zero. Eppure lavorare in un pozzotedesco era come passare dal giorno alla notte rispetto alla miniera sarda. Miricordo che a Ingurtosu dovevo portare nel mio tascapane molti arnesi dalavoro, perfino il carica mine. Qui avevo guanti e ginocchiere e ciascuno avevaun compito preciso. Il lavoro era ben organizzato. Il caposervizio ci invitavaperfino a riposare. Eravamo apprezzati. Ci guardavano con rispetto».
CRISI Alla fine degli anni Sessanta le miniere tedesche sono in crisi.«Si capiva bene - incalza Luigi Deiana - l'automazione era in costante crescita».E il 1968 quando i pozzi della Concordia chiudono. Franceschino Carta va a farel'operaio alla Siemens mentre Luigi Deiana lavora prima in una bottiglieria,poi in una fonderia della Thyssen. Ora che sono in pensione sono rimasti qui.Con figli, nipoti, pronipoti e l'Isola nel cuore. «Si dice nella vita: setornassi indietro non lo rifarei più. Io rifarei tutto», assicura Luigi Deiana.«Anche se l'Italia ha guadagnato dalle rimesse in marchi che noi minatorispedivamo alle famiglie e ha goduto di forniture gratuite di carbone».
PASSATO-PRESENTE Dall'orizzonte deitetti di Oberhausen svettano i castelli dei pozzi chiusi. La cittàha cambiato faccia, ma il suo passato minerario è raccontato ovunque. Daquartieri dove vivevano i minatori, ai vecchi insediamenti trasformati. Dovec'erano le ciminiere della GHH e della Thyssen c'è un parco divertimenti, conuna promenade e una spiaggia lungo il fiume. «È bello», dice Franceschino. Masi capisce bene che ha nel cuore solo la piccola casa a Porto Botte da dove sipuò «sentire il rumore del mare».
DAL NOSTRO INVIATO
CATERINA PINNA
Accadeva già 60anni fa. Quando la Germania cercava lavoratori in Italia
Posted by Luciano Minerva on 20settembre 2014 under Il romanzo
La Germaniaviene a cercare lavoratori in Italia. La notizia è di settembre 2014. Ma ilmeccanismo non è nuovo. Me ne avevano parlato i minatori sardi del circoloRinascita di Oberhausen mentre lavoravo al mio romanzo. Erano storie degli anniCinquanta. E in questo capitolo di Una vita non basta. Memorie da unametamorfosi le ho raccontate. Sulle strade di Nonno Aldo
Effettuarescavi in una miniera significa introdursi in una zona sacra, inviolabile,turbare la vita sotterranea e gli spiriti che la regolano, entrare in contattocon una sacralità estranea all’universo familiare, una sacralità più profonda eanche più pericolosa. Si ha la sensazione di avventurarsi in uno spazio che nonappartiene di diritto all’uomo: il mondo sotterraneo con i suoi misteri dellalenta gestazione mineralogica che si svolge nelle viscere della Terra Madre.Mircea Eliade, Arti del metallo e alchimia,trad. Francesco Sircana“…e l’ultima tappa fu Oberhausen”. Quando nonno Aldoraccontava delle sue miniere, questa frase era un passaggio obbligato versol’ultimo capitolo. Da piccolo, fino al giorno della passeggiata al porto, ilLorenzo che ero non lo ascoltava granché. Le storie di miniera mi creavanoinquietudine e angoscia. Ma quel passaggio-chiave e quel nome, Oberhausen, mierano rimasti impressi, insieme ad altri frammenti che tornavano spesso.Adesso, fra i tanti acquari in cui potevo capitare, mi toccava quello piùvicino all’ultima delle miniere del nonno. Il destino mi portava sulle traccedella storia di famiglia. Forse io stesso ora nuoto qualche centinaio di metrisopra le gallerie in cui il nonno è sceso ogni giorno degli ultimi dodici annidella sua vita di minatore.Del percorso che l’aveva portato a Oberhausen miaveva raccontato la mamma. L’aveva ricostruito per intero, dopo l’aperturadello scrigno. Eppure nella mia tana all’angolo della vasca mi giungeva la vocepacata e roca del nonno, che raccontava una delle sue storie, come aveva fattoun giorno con Lorenzo sulla panchina di Rio Marina.“Ero sceso in miniera per laprima volta a quindici anni, insieme al mio babbo. Lui, durante la guerra del‘15-18, aveva finalmente trovato lavoro non lontano dall’Elba, nelle minieredell’Amiata. E una volta sistemato, mi aveva portato lì. Un anno dopo hoconosciuto anch’io lo sciopero: quattro mesi, ma senza la risposta dellaserrata. Quella volta abbiamo vinto noi, alla fine i padroni hanno abolito illavoro a cottimo e accettato il limite delle otto ore. In quegli anni icattolici e i socialisti erano divisi, ma non tra i minatori: il lavoro inminiera unisce, tutti i giorni. Basta una distrazione e ne va della tua vita edi quella degli altri. Quando scendevamo, subito dopo la sirena, il silenzioera come una preghiera, anche per quelli come me che non hanno mai creduto inun Dio. Al ritorno, quando non ci riconoscevamo neppure tra noi per quantoeravamo neri, la risalita era un ringraziamento alla miniera e a tutti glialtri. Il babbo, finché c’è stato, era il mio angelo custode. M’hainsegnato che questo lavoro non è fatto solo di pericoli e di fatica. C’èqualcosa di più grande e di più forte che ti aiuta a lavorare sotto la terra.Quando lo scopri, la miniera diventa la tua vita e non cambieresti mai piùlavoro. Per coltivare i minerali bisogna amare la Terra e averne granderispetto. E’ come per le piante e gli orti. Se ami la terra e saiprocedere dentro di lei rispettando e seguendo la natura, le sue forme, ifiloni che nasconde, allora anche lei ti rispetta, ti è amica e ti offre buonifrutti. Se no, in qualche modo, prima o poi si vendica.Non tutti avevano questorispetto e questoamore. C’erano padroni che aprivano scavi e gallerie a più nonposso, facevano brillare centinaia di mine, molte più del necessario, perrisparmiare tempo e denaro. E tra noi minatori, chi vedeva solo la durezza e lafatica scappava non appena trovava un altro lavoro. Poi c’era chiscendeva con noi solo per diventare caposquadra, e magari anche spia, perandare a sedersi al caldo, dopo qualche anno, a invecchiare tranquillo negliuffici della Direzione. Io, come il babbo, ero di quegli altri. Nella mia vitaho coltivato vari minerali: il mercurio all’Amiata, dove il babbo è morto disilicosi a cinquant’anni, la pirite a Gavorrano, poi il carbone, in Belgio, aCarbonia e nella Ruhr. Ero diventato esperto ad aprire e armare le gallerie.Man mano che si trovavano i filoni, si scavavano nuove gallerie e sipreparavano le protezioni per gli altri: con la mia squadra costruivo learmature, quelle strutture di legno che proteggono i minatori dal terriccio,dai massi e dalle frane. Quando si abbandonavano le gallerie, quel legno loportavamo a casa per accendere il fuoco, ma prima lo si lasciava asciugare perqualche mese. Io e la mia squadra dovevamo evitare e bloccare i cedimenti delterreno. La cosa più importante per noi era la sicurezza e la vita dei nostricompagni. Negli anni la mia esperienza cresceva e serviva ai minatori, ma ancheai direttori delle miniere. Così, anche se ero considerato tra i più ribelli eturbolenti, non mi mandò via mai nessuno. Ero io ad andarmene, se capivoche la sicurezza era scarsa e le lotte inutili. Oppure cambiavo lavoro quandomi assumevano le direzioni di altre miniere: quasi sempre succedeva dopo unincidente. Quando muore qualcuno, tutti si mettono subito in regola.Nel ‘38,dopo un breve periodo in Belgio, ero tornato in Italia. Avevo saputo che inSardegna stava nascendo una città intorno ai pozzi di una miniera aperta dapoco. Si chiamava Carbonia. Nessuno vendeva più carbone all’Italia. CosìMussolini, per dimostrare al mondo la sua potenza, diede l’ordine e trovò isoldi per costruire una città. Dal niente. Ci andammo a vivere in trentamila.Avevano chiamato i migliori minatori italiani per aprire la miniera più granded’Europa dopo quelle della Ruhr. Perfino le strade a Carbonia avevano la formadel fascio littorio. Quando il Duce la inaugurò insieme al re, c’era una follaentusiasta, tanta da far spavento. Noi comunisti clandestini pensavamo di nonuscire mai più da quell’incubo. Poi invece, finita la guerra, il 67 per cento aCarbonia votò per la Repubblica, al referendum. A quel punto ci sentivamoforti, certi di poter costruire non una città, ma un mondo nuovo. Io ci hocreduto, ho lottato insieme agli altri, ma questo mondo nuovo non l‘ha piùvisto nessuno.La mia immaginazione si confonde con la memoria, dalla vascasopra la sua miniera osservo il nonno che racconta. Tace, riempie il bicchieredi vino, di quel vinaccio fatto in casa che era la consolazione dei minatori eforse faceva dimenticare un po’ di guai. Lui ne beveva un litro al giorno, unpo’ sotto la media. Si ritrovavano tutti insieme nei giorni di festa, o la seratardi, all’osteria, attorno ai fiaschi di vino. Poi a casa, a cena,continuavano a bere, il vino era il loro amico fedele, legava la casa e ilfuori. Quando raccontava, Nonno Aldo usava fare delle pause: riprendevail respiro, si schiariva la voce, riempiva il bicchiere. Lo faceva adagio e congrande attenzione, così la pausa durava il tempo giusto e del vino non cadevaneppure una goccia.“Durante le guerre le miniere vanno bene, appena torna lapace entrano in crisi. E’ successo nel ’19 ed è stato così dopo il ’45. Finitala guerra, occorrevano meno carbone e meno minatori, le gallerie chiudevano egli scioperi servivano a poco. Io avevo messo su famiglia, avevo sposato lanonna, che era la più bella ragazza di Iglesias. Ma due anni dopo il matrimonioero già senza lavoro.” E qui veniva la frase che sentivo da bambino: “… el’ultima tappa fu Oberhausen”.“Era il 1956. L’Italia aveva firmato un pattointernazionale sul carbone e sull’acciaio. Così la Germania veniva a cercarsi ilavoratori da noi: lo Stato italiano incassava e noi emigravamo. Un giornoarrivarono a Carbonia degli ingegneri tedeschi. Era strano sentirli parlare lalingua dei soldati che avevano occupato l’Italia e non considerarli nemici. Maun po’ alla volta ci siamo abituati: in paese, dopo un primo periodo dichiusura e di musi lunghi, tutti erano gentili con loro, e loro con noi. Dopouna settimana aprirono un ufficio di collocamento: chi voleva partire per laGermania si presentava, lo interrogavano come a scuola sulle esperienze inminiera, e decidevano della sua vita. Di cento che fecero domanda, ci scelseroin trentasei. Si partiva la settimana dopo.Mi hanno dato un biglietto per iltraghetto e uno per il treno: Civitavecchia-Verona. Non capivo perché ladestinazione fosse Verona e non una città tedesca. Sono partito da Carboniasenza una lira e senza niente da mangiare. Ho digiunato per tutto il viaggio:un giorno e una notte. Per fortuna alla stazione di Verona, appena scesi daltreno, ci hanno dato una pagnotta col formaggio. Poi ci hanno messi in fila,per ore, per la visita medica. Se non mangiavo subito, al dottore glisvenivo davanti. Invece, con lo stomaco pieno, m’è andata bene e m‘hanno preso.Ma sei di noi, quelli un po’ più deboli o acciaccati, li hanno rimessi sultreno per Civitavecchia e sono tornati a casa. Ora eravamo in trenta. Il primocontratto, per un anno, l’abbiamo firmato in un ufficio della stazione. La serastessa eravamo già sul treno per Oberhausen, più stanchi che dopo un giorno inminiera.Ci sono voluti un’altra notte e un altro giorno di viaggio. Siamoarrivati la sera tardi, alla stazione ci aspettava un pullman per portarci alvillaggio dei minatori: tante file di casette basse, tutte scure, in ognistanza c’erano quattro letti. Vicino a ogni letto c’era una sedia. Sulla sediaquella sera abbiamo trovato il benvenuto della Direzione: un fiasco di vino,una stecca di sigarette e una barra di cioccolato.La mattina dopo è cominciatoil lavoro. E la prima sera, alla fine del turno, il direttore ha chiesto sequalcuno di noi voleva mandare cento marchi a casa: era la paga anticipatadella prima settimana. Io ho alzato la mano, mi è venuto di alzarla due volte,come quando salutavo il babbo. Volevo che mia moglie e il nostro bambolo di unanno, che poi era tuo nonno, il papà di Fiorella, potessero stare tranquilli ecomprarsi da mangiare senza problemi.Il lavoro andava bene, e anche lasicurezza. Nella zona c’erano 160 pozzi per scendere nelle gallerie, a me ètoccato il numero 11, che m’ha sempre portato fortuna. Le discese in galleriasono cominciate solo dopo una settimana. Prima hanno voluto conoscerci einquadrarci, per non avere sorprese. Poi hanno scelto come fare le squadre.Stavolta non erano più i duecento metri delle miniere che conoscevo. AOberhausen si scendeva a meno settecento. All’inizio del turno entravamo inventi nell’ascensore. Scendeva cinque volte più veloce di quelli di oggi, lostomaco t’arrivava in bocca. Ma quello non m’ha mai spaventato, dopo qualchegiorno t’abitui a tutto, anche all’idea di stare settecento metri sotto terra.Quando sei sotto, duecento o settecento non cambia, tranne che fa molto piùcaldo: ma se succede qualcosa sei finito, di qua e di làLì s’era più sicuri chein Italia, ci assegnavano compiti precisi e ci davano perfino i guanti e leginocchiere. Non come a Carbonia, dove toccava a noi pagarci e portarci da casagli arnesi da lavoro, compreso il caricamine. Eravamo molto più sicuri diquelli che finirono in Belgio. Stavamo da un mese in Germania, quando vedemmosui giornali le foto della tragedia di Marcinelle: la miniera s’era riempita digrisù, un’esplosione terribile. Tutti morti: 262 minatori, la maggioranza eranoitaliani. Fossi stato calabrese, finivo lì anch’io. Invece ero un elbano tra isardi. Ciascuno ha il suo destino, il mio è stato fortunato, se possoraccontarvi queste cose a novant’anni suonati.”Anche se il bicchiere di vinoera ancora mezzo pieno, i racconti del nonno a un certo punto si fermavano.Quando toccava o sfiorava il ricordo di un incidente, ricominciava a riempirlofino all’orlo. Una volta erano “le povere vittime di Marcinelle”; un’altra ”iquarantatré ragazzi di Ribolla” del ‘54: “ne conoscevo otto, la Montecatini nonl’ho mai perdonata, tanti processi e non ha pagato nessuno”; un’altra voltaancora parlava della scomparsa, vicino a casa, del suo amico Foligardo, diCapoliveri: “è scivolato sul cumulo di materiale fine, all’aperto, ècaduto giù come nelle sabbie mobili, è morto soffocato senza che nessuno diquelli intorno ci potesse far nulla”. Gli incidenti non facevano sempre partedei suoi racconti. Erano una piccola parentesi, poi passava alle storie cheparlavano di vita. Così fu anche nel racconto che penetrava da chissaddovenella mia vasca.“La lotteria c’è stata tre mesi dopo. C’era posto solo perdodici famiglie, su venticinque che erano pronte a partire. Su ogni bigliettoc’era un nome, hanno piegato per bene tutti i biglietti e li hanno messi in uncappello. Poi un’impiegata tedesca della Direzione ne ha sorteggiati dodici: ilmio nome è uscito per undicesimo, non ci speravo già più. Ci hanno datotrecento marchi per uno, per andare a Carbonia, fare i bagagli e ritornare inGermania con la famiglia. Abbiamo passato insieme il Natale a Iglesias, cometutti gli anni, e siamo ripartiti a Capodanno. All’arrivo c’era un metro dineve. Ci hanno sistemato in una vecchia scuola elementare che non usavano più,perché dopo la guerra la Germania stava ricostruendo tutto da capo. In unaclasse avevano preparato gli “appartamenti” per due famiglie. Per dividerlic’era una grande coperta marrone appesa a una corda. In ogni “appartamento”c’erano tre lettini, tre stipetti di acciaio, un tavolo, tre sedie, treforchette e tre bicchieri. I nostri armadi erano le valigie. Quella scuola èstata casa nostra per un anno e mezzo. E’ stato il periodo più difficile, poisiamo tornati a vivere nel villaggio dei minatori, dove la ditta avevacostruito altre case per noi Gastarbeiter. Ci chiamavano così:“lavoratori ospiti”. Ospiti: cioè non potevamo prendere la cittadinanzatedesca e non avevamo gli stessi diritti degli altri. Bastava un piccoloincidente, una lite, un’ubriacatura, e la Direzione poteva tranquillamenterimetterci sul treno e rimandarci a casa.Per fortuna c’era il Circolo. Il colmoè che in Germania ho imparato il sardo, cosa che mi ero sempre rifiutato difare a Carbonia: ma era quella la lingua che parlavano tutti al CircoloRinascita. Era anche il modo più sicuro per proteggerci dalle spie, che c’eranoanche lì. In sardo potevamo discutere di politica, specie prima delle elezioniin Italia. In Germania il Partito comunista era fuorilegge, e se qualcunoavesse saputo delle nostre idee e delle nostre discussioni, addio posto dilavoro. Pensate, il circolo si chiamava come il settimanale del Partitocomunista italiano, ma sul nome “Rinascita” nessuno ha mai potuto dirci niente.Tuttosommato l’ultima tappa delle mie miniere è stata tranquilla. Sono andatoin pensione quando hanno chiuso i pozzi, nel 1968. Anche i tedeschi a quelpunto ci avevano conosciuto un po’ meglio e ci accettavano. Qualcuno si èsposato là e ha preso la cittadinanza tedesca.Le miniere non ci sono più, mauna decina d’anni dopo il circolo Rinascita di Oberhausen è “rinato” perdavvero e continua essere il ritrovo degli ex minatori rimasti in Germania edei loro figli. Io, appena finito il lavoro in miniera, sono tornato a casa, aRio Marina, come non aveva mai potuto fare mio padre. La tua mamma aveva treanni. Così all’Elba sono stato solo un bambino e un nonno. E grazie al cielo,come pochissimi minatori, adesso ho anche la fortuna di essere un vecchiobisnonno
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